L’ASSUNZIONE IN PROVA: DISCIPLINA LEGALE E CONTRATTUALE

15/12/2023

Le parti possono decidere, contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro, di subordinare l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo chiamato periodo di prova. Tale clausola, che può essere apposta a qualsiasi tipo di contratto di lavoro subordinato, è disciplinata in primo luogo dal nostro Codice Civile (articolo 2096), nonché dai Contratti Collettivi, che ne definiscono principalmente la durata.

Occorre specificare che non si tratta di una clausola obbligatoria, ma solo fortemente consigliata per permettere alle parti di valutare la reciproca “convenienza” all’assunzione.

Norme di più recente attuazione, come il Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022), hanno introdotto nuovi obblighi informativi a carico del datore di lavoro relativamente al patto di prova. In particolare, affinché egli adempia correttamente al suo obbligo informativo, deve consegnare al lavoratore la lettera di assunzione redatta per iscritto e contenente ovviamente anche il patto di prova, la quale dev’essere sottoscritta da entrambe le parti. Pertantoaffinché il patto sia valido e regolarmente apposto, dev’essere previsto all’atto della costituzione del rapporto di lavoro e mediante atto scritto, con la conseguenza che ogni patto stipulato successivamente è nullo.

È utile sottolineare che durante la prova il contratto di lavoro è definitivamente costituito, infatti l’anzianità di servizio decorre regolarmente ed i diritti ed obblighi delle parti sono pienamente operanti (il lavoratore matura tutti i consueti istituti quali ferie, trattamento di fine rapporto e mensilità aggiuntive, può svolgere straordinario, eccetera).

Dal punto di vista del contenuto la clausola deve contenere l’indicazione, quanto più specifica possibile, delle mansioni affidate al lavoratore, eventualmente richiamando anche l’articolo del CCNL in cui le stesse sono definite. La mancanza dell’indicazione delle mansioni, nonché l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse da quelle indicate nel patto, sono motivo di nullità dello stesso.

La nullità del patto di prova comporta che il rapporto di lavoro sia da considerarsi definitivo, con la conseguenza che un eventuale licenziamento non sarà più da considerarsi ad nutum come previsto dal Codice Civile durante la prova, ma sottoposto alla verifica della presenza di una giusta causa o giustificato motivo. 

Il d.lgs. 104/2022, all’art. 7, definisce la durata massima del periodo di prova nei contratti a tempo indeterminato, fissandola in sei mesi; invece i contratti collettivi prevedono solitamente durate inferiori, differenziando principalmente tra impiegati e operai, e tra livelli. Inoltre i contratti collettivi solitamente definiscono se il conteggio del periodo di prova debba basarsi sui giorni di calendario o di effettivo lavoro.

Il secondo comma dell’art. 7 stabilisce invece che nei rapporti a tempo determinato il periodo di prova dev’essere riproporzionato in base alla durata del contratto ed alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego, ma non definisce i criteri di calcolo, creando potenziali criticità interpretative.

Mentre in passato la reiterazione del patto di prova non era ben vista ma comunque in determinati casi concessa, a seguito delle novità del Decreto Trasparenza non è più permesso apporre il patto di prova ad un contratto stipulato con un lavoratore riassunto con le stesse mansioni già precedentemente svolte. Un’eventuale apposizione è da ritenersi illegittima.

La prova inoltre dev’essere effettiva, questo significa che durante tutto il periodo il lavoratore deve effettivamente prestare la propria attività lavorativa, ed eventuali giorni di assenza (ad es. per malattia, infortunio, congedi) debbono essere recuperati. Effettività della prova significa inoltre che è necessario che trascorra un periodo di tempo adeguato, non eccessivamente breve, utile sia al datore di lavoro per la valutazione delle competenze professionali e le attitudini personali del lavoratore, sia a quest’ultimo per verificare la convenienza di quel rapporto di lavoro.  

La principale “particolarità” del periodo di prova risiede nel fatto che, durante o al termine dello stesso, le parti sono libere di recedere in qualsiasi momento senza obbligo di motivazione o di dare il preavviso, né di pagare la relativa indennità sostitutiva, salvo che il CCNL o il contratto individuale non prevedano una durata minima. In quest’ultimo caso non è possibile recedere prima della scadenza di tale termine minimo.

Se invece una volta trascorso il periodo di prova il rapporto prosegue, esso diviene definitivo e non sarà necessario che il datore espliciti in qualche modo la sua volontà di confermare il lavoratore assunto in prova.

Il recesso è illegittimo se la prova non è stata consentita, in particolare:

  • se la verifica si è basata su mansioni diverse da quelle dedotte in contratto o se al lavoratore non sono state attribuite concretamente le mansioni;
  • se il lavoratore dimostra che il periodo di prova è stato inadeguato per la verifica delle sue competenze o che la prova non è stata proprio eseguita;
  • se è basato su un motivo illecito (discriminatorio) oppure estraneo al rapporto di lavoro (es. perché il lavoratore è disabile).

Spetta al lavoratore dimostrare l’esistenza di una di queste situazioni di illegittimità per ottenere l’annullamento del recesso. Occorre però specificare che il lavoratore, a seguito di annullamento, non avrà diritto all’assunzione definitiva ma solo a terminare il periodo di prova oppure ad ottenere un risarcimento del danno.

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